Tragica storia di una bambina
(Rivista
del C.A.I., Le Dolomiti Bellunesi, Natale 1995, n. 2)
Nel
primo dopoguerra quando le condizioni di vita ed economiche erano
così diverse da oggi tali da farci apparire quei tempi come
appartenenti ad un'epoca remota, si è consumata una tragedia che non
è frutto della fantasia di chi scrive bensì una triste realtà che
costò la vita a una bambina di appena sei anni.
Pochi
giorni prima di Natale del 1922 la piccola Rita di San Tomaso, per
ordine dei suoi genitori,aveva dovuto recarsi al vicino paese di
Vallada per ritirare delle scarpe che lo zio Ernesto le aveva
confezionato come regalo natalizio.
Per
una famiglia di modeste condizioni un paio di scarpe costituivano un
bene da tenere con cura e da portare solo nelle occasioni di festa o
quando faceva molto freddo visto che abitualmente si calzavano gli
scarpét o le "dambre" di legno.
Lo
zio dimorava lungo il versante opposto della montagna e per
raggiungerlo era necessario valicare a piedi la forcella di San
Tomaso (tra il Piz Croce e il Piz Zorlét) percorrendo un ripido
sentiero nel bosco.
Oggi
in pochi minuti di automobile sarebbe stato facile arrivare a Vallada
passando per Cencenighe, ma in quel tempo non esisteva altra
soluzione che passare attraverso questa scorciatoia naturale.
Prima
di partire la madre raccomandò alla bambina di ritornare
all'imbrunire visto che d'autunno inoltrato il sole tramonta prima e
le giornate si accorciano.
Rita
giunse a Vallada nel primo pomeriggio e dopo aver ringraziato e
salutato lo zio s'incamminò verso casa ripercorrendo la forcella.
Forse
per il calare della sera o forse perché il cielo come per capriccio
si era rannuvolato e aveva iniziato a nevicare, la piccola smarrì il
sentiero perdendo l'orientamento. Anziché seguire il percorso che
dalla forcella conduce a San Tomaso, si diresse verso Cencenighe
costeggiando il fianco del monte delle Anime.
Dopo
avere vagato chissà per quante ore giunse su di una balza che
sovrasta l'abitato di Balestier probabilmente attratta dai lumi che
rischiaravano le case sottostanti.
La
scarsa conoscenza del luogo e il buio la portarono a scivolare nel
precipizio di Castellin cadendo fra due larici.
Probabilmente non
morì subito e le sue richieste di aiuto furono udite anche da alcuni abitanti di
Balestier e di Chenet.
Il
destino volle che proprio in quei giorni fosse gravemente ammalata
una ragazza di Balestier che sarebbe deceduta pochi giorni dopo.
I
lamenti che si sentivano in lontananza si pensa fossero stati confusi
i lamenti della o per la giovane malata.
Per
la bambina non ci fu speranza. Morì probabilmente per le ferite
riportate e per assideramento.
Ogni
ricerca da parte dei genitori fu vana.
La
prima neve caduta ricoprì le ultime tracce lasciate dalla piccola e
con essa il suo corpo.
Fu
ritrovata solo in un freddo sabato di febbraio quando un uomo di
Balestier che si era recato a far legna nel bosco, scorse sotto il
ramo di un larice e tra il fogliame secco il corpo della piccola
Rita.
Sotto
il capo aveva ancora il sacchetto della merenda che aveva portato con
sé.
Appena
sopra le case di Balestier, nello stesso luogo in cui fu ritrovata,
si legarono le due cime dei larici e ancora fino a pochi anni fa
erano visibili quei due rami uniti per ricordare questa tragica
vicenda che non si deve dimenticare.
La
narrazione di questo fatto di cronaca a molti sconosciuto impedisce
di comunicare il dolore, la paura, i sentimenti più intimi della
bambina e questo ci rende impotenti.
Tuttavia, questa vicenda reale che si fonda su testimonianze autentiche di
persone (oltre a trovare riscontro nei registri di morte delle
parrocchie di Cencenighe e di San Tomaso), vuole evidenziare
responsabilità che nel passato i genitori affidavano ai figli ancora
bambini e non certo in grado di affrontare situazioni difficili.
Le
condizioni economiche e sociali rendevano necessario assegnare ai
figli incarichi molto spesso superiori alle loro concrete capacità
come pascolare il bestiame in malga, accudire i fratellini più
piccoli, aiutare nel lavoro dei campi e, durante la guerra, portare
le vivande ai soldati.
L'innata
curiosità e alle volte l'ingenuità li spingeva nel pericolo e
questo spesso costava loro la vita.
Come
alla piccola Rita che abbiamo voluto ricordare in questo racconto a
testimonianza di una tragedia in montagna che tante, troppe volte, ha
coinvolto i bambini.
Luisa
Manfroi - Alessio Chenet
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