FALCADE
- Il legno ha un profumo particolare. È quello che si respira quando
si entra in una falegnameria o in una segheria. Un odore che riporta
al bosco, alla montagna e quindi alle proprie radici. Al legno in
qualche modo si è sempre rimasti legati adesso come in passato
malgrado i naturali cambiamenti sociali ed economici del territorio.
Da una statistica delle Camera di Commercio di Belluno del 1958
emerge che in Valle del Biois (considerando anche Cencenighe e San
Tomaso), di segherie se ne registravano ben quattordici, senza
considerare gli altri comuni dell'alta Val Cordevole dove,
complessivamente, ad Alleghe, Rocca Pietore, Colle Santa Lucia, Selva
di Cadore e Livinallongo, se ne contavano diciotto. Ora, in alto
Agordino, da Cencenighe in su, di segherie ne è rimasta attiva solo
una, quella di Marco Scola, a Falcade. Una gestione che è arrivata
ormai alla quarta generazione. Prima di lui il padre Romano, il nonno
Marco, suo omonimo, e il bisnonno Sante Scola che, primo in
famiglia, rilevò la segheria sul Biois, a Molin Bas nel 1926 da
persone del posto. Si perde il conto a calcolare la quantità di
metri cubi di legname che la famiglia Scola ha lavorato in quasi
novant'anni. Ma cominciamo dall'inizio. Sante Scola, classe 1871,
inizialmente non si occupava di legname ma di malghe. Dopo un periodo
trascorso come emigrante in Svizzera, si dedicò al lavoro di malgaro
presso la Malga Costazza (nei pressi dell'odierno Rifugio Bottari),
per ben diciotto anni e Malga Pradaz, sul Valles, per altri ventitré.
Questa attività lo portò a commerciare bestiame e a gestire una
bottega di generi alimentari con relativa osteria a Molin. Della
segheria si prese cura il figlio Marco, nato nel 1904, che poco più
che ventenne intraprese il lavoro di segantino apprendendone il
mestiere dal compaesano Vivaldi Piccolin. In modo analogo, nella
zona di
Brustolade, era attiva un'altra segheria che usava inizialmente
l'acqua di alcune sorgenti di Palù convogliata e raccolta in quello
che veniva chiamato “el pos de la siega”.
Ad aiutare Marco nel lavoro c'era il fratello Ernesto, di qualche
anno più giovane. Entrambi
compaiono in una storica
foto scattata alla fine degli anni Venti e conservata nell'attuale
segheria. Insieme a loro il figlio maggiore di Marco, Romano, del
1927, che divenuto adulto seguì le orme del padre nella sua
conduzione. L'impianto era
“alla veneziana” e funzionava
grazie ad una ruota idraulica a pale, collegata al sistema
biella-manovella che trasformava il moto rotatorio della ruota nel
movimento alternativo necessario alla lama per tagliare i tronchi. La
forza del Biois, in quel tratto, alimentava ben tre mulini e
l'opificio degli Scola. Non a caso, questa zona di Falcade è
chiamata Molin. «All'epoca le segherie erano operative nel periodo
primaverile, da marzo fino a fine giugno quando l'acqua copiosa del
disgelo garantiva una portata più consistente facendo funzionare
l'impianto a pieno regime – ricorda Romelio, fratello di Romano –
Dopo la pausa estiva dedicata ai lavori della fienagione, talvolta si
riprendeva in autunno, stagione dedicata al taglio delle piante nel
bosco in prevalenza di abete, ma allora si vedeva la differenza
perché l'energia dell'acqua era inferiore rispetto a quella della
primavera e la lama si muoveva più lentamente». Durante il secondo
conflitto mondiale il lavoro della segheria subì qualche
interruzione. Il titolare Marco fu richiamato per un breve periodo in
guerra mentre uno dei suoi due operai, Liberale Piccolin, impegnato
come militare, fu catturato dai tedeschi e condotto in Germania. Fu
proprio la conoscenza del suo lavoro di segantino a permettergli di
venire impiegato in una segheria del luogo, attività che gli
consentì di trascorrere in maniera più serena la sua prigionia. Con
la fine del conflitto si ebbe una ripresa; all'energia idraulica
subentrò la corrente elettrica prodotta dall'allora “Società
Elettrica Agordina” che pochi anni prima aveva realizzato la vicina
centrale elettrica. La ruota a pale, “rodìn”, fu sostituita da
un motore. Pure i ritmi di lavoro segnarono un'accelerazione. Quando
si contavano più ordinazioni, si era costretti a fare due turni di
lavoro col risultato che l'impianto funzionava a ritmo continuo,
giorno e notte, senza interruzioni. Travature e tavolame, i prodotti
della lavorazione, venivano venduti in zona e anche ad acquirenti del
Feltrino e della provincia di Treviso. «Ricordo che una volta fu
tagliato un grande lotto di legname che servì a ricavare dei
“bregógn” destinati alla costruzione di carrozze dei treni visto
che era stata ricevuta una commessa dalle Ferrovie dello Stato»,
racconta Romelio Scola. L'alluvione del novembre 1966 fu drammatica
per Falcade che pianse le undici vittime della frana di Somor. Della
“siega del Baro”, dalla struttura in legno, non rimase che “en
cantón
de sas” (un pilastro di sostegno) e due volani infissi nell'alveo.
Tavole e tronchi depositati nelle vicinanze, furono portati via
dall'acqua. Pur tuttavia Marco e il figlio Romano non abbandonarono
la loro attività. La segheria fu ricostruita poche centinaia di
metri a valle, sempre nella zona di Molin Bas non tanto distante dal
Biois e dalla confluenza con il suo affluente Focobon. L'area in cui
fu riedificata era più grande e un nuovo impianto dotato di
macchinari più moderni rimpiazzò quello precedente così da
permettere di proseguire il lavoro in forma meno manuale. Marco
Scola morì nel dicembre 1982 e l'attività continuò con il figlio
Romano e con l'aiuto, quando era necessario, del fratello Romelio,
proprietario di un panificio. Col trascorrere del tempo si susseguono
le generazioni e Marco, figlio di Romano, terminati gli studi
diventa titolare della ditta a ventidue anni. È il 1993 e da allora
nella segheria vengono introdotte ancora nuove macchine suggerite
dall'innovazione e altre sono sostituite. Nel frattempo e un po' alla
volta, diverse segherie dell'Agordino hanno chiuso i battenti ma
quella degli Scola è ancora attiva e va avanti anche dopo la
scomparsa di Romano, avvenuta dodici anni fa. Ora, a distanza di
quasi novant'anni e giunti alla quarta generazione, il lavoro
continua con gli immancabili “tassón
de taie” e le “pile de breghe” auspicando possa proseguire in
futuro con la quinta e oltre.
Luisa Manfroi - "L'Amico del Popolo", settembre 2015, giornale di informazione generale della provincia di Belluno - Riproduzione riservata
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