Valle
del Biois – Una statistica sui dati dell'Estimo del Capitaniato di
Agordo del 1548, con specifico riguardo alla Valle del Biois, è
quella che ha completato in questi giorni lo studioso Claudio
Scardanzan. Un'indagine che delinea la situazione economica della
zona presa in esame intorno alla metà del XVI° secolo quando a
dominare era la Repubblica di Venezia. Per inquadrare meglio il
periodo è utile ricordare che l'Europa, in quest'epoca, viveva i
grandi conflitti religiosi legati alla riforma protestante, a Trento
era in corso l'omonimo Concilio e l'Italia era suddivisa in stati ed
era reduce da guerre interne che avevano coinvolto anche Venezia.
Era evidente la necessità del governo della Serenissima di avere un
quadro patrimoniale chiaro.
Scopo dell'estimo era quello di determinare le condizioni finanziarie di ciascun soggetto cui contribuiva anche il patrimonio immobiliare. Una rilevazione duplice e periodica, basata sulle denunce dei proprietari, come si legge in una nota dell'Archivio di Stato di Venezia, e sulla ricognizione effettuata sul posto da periti che avevano assunto l'incarico il cui compito era quello di registrare capillarmente le proprietà immobiliari dei cittadini, in ogni territorio soggetto a Venezia, attraverso un sopralluogo e alla presenza di due o più giurati del luogo che facevano anche da guida agli ispettori. Dall'indagine di Scardanzan incentrata principalmente sul patrimonio immobiliare, risulta che la Regola di Vallada possedeva 149 appezzamenti coltivabili, intesi come “campi” e “ronchi”, un numero di superiore rispetto alle altre Regole. Seguivano a distanza la Regola di San Tomaso e quella di Pitiguogn (nome arcaico di Pitigon che comprendeva la parte alta del capoluogo dell'attuale Canale d'Agordo e Gares) con 90 appezzamenti ciascuna, Sappade e Falcade con 78, Fregona 68, Cencenighe 45 e Forno e Col (corrispondente all'attuale piazza di Canale) con 43. Vallada annoverava la maggiore stima di “calvìe” (unità di misura bellunese) e quindi di una più cospicua disponibilità di granaglie prodotte.
È evidente che molto dipendeva dalla morfologia del territorio e dalla superficie dei terreni. Circa la presenza di aree prative comprendenti “prati”, “ronchi” e “chiesure” (poderi recintati), la situazione era differente. A possedere in totale il più alto numero di superfici prative era Falcade e Sappade (140) seguito da San Tomaso (134), Pitiguogn (123), Fregona (100), Vallada (90), Cencenighe (70) e Forno e Col (36). Da questi dati Scardanzan ha ricavato la stima dei “carri” di fieno prodotto, unità di misura pari a 350 chilogrammi ciascuno.
Un dato che dipendeva dalla superficie del singolo appezzamento senza contare la diversa qualità del fieno prodotto. Ma l'indagine non si è limitata a questo. La statistica riguarda una sorta di censimento industriale che comprende pure le case da affittare (inaspettatamente già presenti nel secolo preso in considerazione), “folloni” (laboratori per la follatura della lana), forni fusori, fucine, mulini, pestini per orzo, segherie e “stue”, bacini artificiali derivati dallo sbarramento del legname per poi consentirne la fluitazione. Lo studio fa emergere una certa attività industriale e presenza di diversi opifici nella zona di Cencenighe con tre case da affittare, un forno fusorio, tre fucine, tre mulini e una segheria e a Forno e Col con due laboratori di follatura, un forno fusorio, sei mulini e altrettante fucine, due pestini per orzo e una segheria. Il più alto numero di mulini risultava essere invece a San Tomaso che ne contava nove.
Nel suo insieme la ricerca contribuisce a fornire uno spaccato di vita economica della zona che in questo modo si arricchisce di un nuovo e prezioso tassello.
Scopo dell'estimo era quello di determinare le condizioni finanziarie di ciascun soggetto cui contribuiva anche il patrimonio immobiliare. Una rilevazione duplice e periodica, basata sulle denunce dei proprietari, come si legge in una nota dell'Archivio di Stato di Venezia, e sulla ricognizione effettuata sul posto da periti che avevano assunto l'incarico il cui compito era quello di registrare capillarmente le proprietà immobiliari dei cittadini, in ogni territorio soggetto a Venezia, attraverso un sopralluogo e alla presenza di due o più giurati del luogo che facevano anche da guida agli ispettori. Dall'indagine di Scardanzan incentrata principalmente sul patrimonio immobiliare, risulta che la Regola di Vallada possedeva 149 appezzamenti coltivabili, intesi come “campi” e “ronchi”, un numero di superiore rispetto alle altre Regole. Seguivano a distanza la Regola di San Tomaso e quella di Pitiguogn (nome arcaico di Pitigon che comprendeva la parte alta del capoluogo dell'attuale Canale d'Agordo e Gares) con 90 appezzamenti ciascuna, Sappade e Falcade con 78, Fregona 68, Cencenighe 45 e Forno e Col (corrispondente all'attuale piazza di Canale) con 43. Vallada annoverava la maggiore stima di “calvìe” (unità di misura bellunese) e quindi di una più cospicua disponibilità di granaglie prodotte.
È evidente che molto dipendeva dalla morfologia del territorio e dalla superficie dei terreni. Circa la presenza di aree prative comprendenti “prati”, “ronchi” e “chiesure” (poderi recintati), la situazione era differente. A possedere in totale il più alto numero di superfici prative era Falcade e Sappade (140) seguito da San Tomaso (134), Pitiguogn (123), Fregona (100), Vallada (90), Cencenighe (70) e Forno e Col (36). Da questi dati Scardanzan ha ricavato la stima dei “carri” di fieno prodotto, unità di misura pari a 350 chilogrammi ciascuno.
Un dato che dipendeva dalla superficie del singolo appezzamento senza contare la diversa qualità del fieno prodotto. Ma l'indagine non si è limitata a questo. La statistica riguarda una sorta di censimento industriale che comprende pure le case da affittare (inaspettatamente già presenti nel secolo preso in considerazione), “folloni” (laboratori per la follatura della lana), forni fusori, fucine, mulini, pestini per orzo, segherie e “stue”, bacini artificiali derivati dallo sbarramento del legname per poi consentirne la fluitazione. Lo studio fa emergere una certa attività industriale e presenza di diversi opifici nella zona di Cencenighe con tre case da affittare, un forno fusorio, tre fucine, tre mulini e una segheria e a Forno e Col con due laboratori di follatura, un forno fusorio, sei mulini e altrettante fucine, due pestini per orzo e una segheria. Il più alto numero di mulini risultava essere invece a San Tomaso che ne contava nove.
Nel suo insieme la ricerca contribuisce a fornire uno spaccato di vita economica della zona che in questo modo si arricchisce di un nuovo e prezioso tassello.
L.Manfroi
"L'Amico del Popolo", giornale di informazione generale della provincia di Belluno - Riproduzione riservata - ottobre 2015
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