Vallada
- Vedere la neve che cade è molto suggestivo. Decisamente meno
quando si tratta di spalarla, soprattutto quanto è tanta. Pale,
badili e frese sono strumenti di uso comune in inverno, mentre i
mezzi spazzaneve provvedono a rimuoverla dalla superficie delle
strade permettendone la percorrenza. Oggi appare scontato l'impiego
di queste apparecchiature montate sui veicoli a motore, ma non è
stato sempre così. Cosa si faceva quando non esistevano i motori ?
C'era
una volta “el versór” (o “varsór”), trainato da cavalli che
la storia riferisce essere il primo prototipo di spazzaneve. Ma oltre
a questo c'erano pure quelli che funzionavano con la forza delle
braccia grazie a una lunga e robusta corda. Fino ai primi del
Cinquanta, a Vallada, fu impiegato proprio uno di questi modelli. A
raccontarlo in modo molto espressivo e con linguaggio colorito è
Renato Della Zassa (“Morlàch”), cultore di storia locale ed
ex-guardia comunale. “El versór” era costituito da un attrezzo
di tavole di legno e lamiera con un vomere che permetteva di
regolarne l'ampiezza. Luogo di deposito era un piccolo edificio che
fungeva anche da sede dei pompieri, a La Costa di Andrich. In
occasione di nevicate, per prima cosa era necessario radunare più
gente possibile per andarlo a prendere. Per questo ci pensava la
campana suonata a martello cui si ricorreva in questo caso e in
altri, per radunare i rappresentanti di ciascuna famiglia quando la
strada era coperta almeno da una trentina di centimetri di neve. «I
“capovila” (i capifrazione) chiamavano a raccolta i
rappresentanti in un luogo prestabilito, ad esempio a Celat il punto
di ritrovo era “el cafè”. Fatto l'appello si teneva conto di chi
non aveva partecipato. Se una famiglia non metteva a disposizione un
componente per due volte senza dare una giustificazione valida, era
sanzionata escludendola magari dall'assegnazione della “part de le
legne.» Questo era l'istituto del “piodéch” tanto utilizzato in
passato come sistema per svolgere lavori di pubblico interesse per la
comunità tra i quali, appunto, quello dello sgombero della neve e
non solo. Così, in mezzo alla coltre bianca, si metteva in marcia un
corteo di persone chiamate all'oneroso compito di trascinare
l'attrezzo lungo “el
stradón”,
mentre altri si davano da fare a rimuoverla dalle strade più
strette dove “el versór” non sarebbe potuto arrivare. Ogni
frazione aveva i suoi confini definiti e si sapeva fin dove si doveva
spalare. Il modesto ma utile spazzaneve artigianale veniva svegliato
dal suo “letargo” per essere messo in funzione a forza di braccia
e di sudore. Veniva loro in aiuto una “soga”, una robusta corda
di canapa che si ancorava all'attrezzo. Non rimaneva che mettersi al
lavoro e tirare la corda quanta forza si aveva in corpo. Per
esercitare un maggior peso e quindi garantire una migliore resa dello
strumento, sullo spazzaneve si sedevano gli uomini più anziani o che
avevano meno energie. Sembra ancora di sentire le voci e talvolta le
imprecazioni di quella truppa impegnata in questo lavoro da girone
dantesco. Anche se da Andrich fino a Celat era tutta discesa, era un
lavoro di fatica e la strada veniva allargata di circa un metro e
mezzo. Ma non era finita qui. Da Celat, dove la strada incontrava
quella principale diretta verso Canale e Falcade, toccava poi
risalire e ridiscendere per fare un altro giro ed allargare
ulteriormente la carreggiata. Un'altra sicura fatica per quel gruppo
di volontari che erano soliti essere seguiti da un corteo di bambini
curiosi tra i quali c'era anche Renato. «Quella corda lunga una
ventina di metri che per fortuna è stata recuperata e messa da
parte, contiene il sudore e il dna di due generazioni di valladesi»
dice scherzando Della Zassa che si rammarica del fatto che
probabilmente non esistano fotografie che documentano questa attività
pur avendo lui ben chiari i ricordi. Arrivati a La Costa di Andrich
non si proseguiva oltre dal momento che la strada si restringeva. In
questo modo si fece fronte alle copiose nevicate come quelle
dell'inverno 1951 di rilevanza storica per i cospicui accumuli.
«Intorno ai primi anni del Cinquanta l'incarico di trascinare “el
versór” per tenere pulita la strada venne affidato a “Nani”
Busin e ai muscoli di Mirco, il suo robusto cavallo norico visto che
il mulo di proprietà del Comune, retaggio della seconda guerra
mondiale, non aveva forza sufficiente per assolvere all'ingrato
compito. Ma qualche anno dopo i cavalli in carne ed ossa furono
sostituiti dai “cavalli vapore” del trattore di Angelo Davare e
di suo cognato Oreste Ronchi che comunque erano assistiti da un
gruppo di volontari delle frazioni, come prescriveva la consuetudine
del “piodéch”. Si possono immaginare le discese in “ridoleta”
da parte dei bambini che tuttavia rendevano la superficie ancora più
liscia con il rischio di mandare gambe all'aria chi passava a piedi.
Ma l'attrazione di una discesa in slittino era troppo forte. Per
qualche anno ancora lo spazzaneve assolse la sua funzione e dopo anni
di “onorato servizio” fu messo definitivamente in pensione.
Intorno al 1963 il comune provvide all'acquisto di un Unimog,
autocarro affidato alla guida dell'allora guardia comunale Celestino
Manfroi, ma nonostante si trattasse di un mezzo a motore, necessitava
di una certa competenza nel montaggio del vomere e nel manovrarlo.
Verso la fine degli anni Cinquanta la strada che collegava Falcade
con Cencenighe era invece tenuta pulita da un grosso camion Taurus
dotato di un vomere regolato mano a mano lungo il percorso.
Il
sistema del “piodéch”, ricorda Della Zassa, rimase in funzione a
Vallada fino ai primi anni del Settanta quando non fu più
considerato un obbligo. Con questo venne meno la consuetudine che
permise di garantire la pulizia del bosco, del limitare delle strade
comunali e dei sentieri. Una risorsa che è stata la base di tanti
servizi utili alla comunità, non da ultimo quello della rimozione
della neve ricordato pure dal verseggiatore di Celat , Luigi
Lazzaris: “Alora prest 'l debutà de vila invida un par fameia a
piodegà, e col badil o la pala tuti en fila, le strade i sbrega onde
podei passà. Ma l'é en mestier anca da fa la chila.”.
Luisa Manfroi
"L'Amico del Popolo", giornale di informazione generale della provincia di Belluno, febbraio 2016 - riproduzione riservata
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