Passa ai contenuti principali

A Cencenighe, il vecchio pozzo di Avoscan


Articolo di Luisa Manfroi tratto da "L'Amico del Popolo", settimanale di informazione generale della Provincia di Belluno - giugno 2017 - riproduzione riservata



Cencenighe – Correva l’anno 1915. L’Italia entrava in guerra e forse mai si sarebbe aspettata di dover affrontare momenti così difficili come quelli che ne sarebbero seguiti. 

Molti giovani venivano chiamati alle armi e la gente rimasta a casa attendeva ai consueti lavori che avrebbero subito un rallentamento a causa del conflitto. 

A Cencenighe, più precisamente ad Avoscan, gli alpini del “Battaglione Belluno” costruivano la caserma “Nino Bixio”, sulla riva sinistra del Cordevole, proprio accanto al ponte in legno che lo attraversava e al sentiero della “Cea” che saliva verso le frazioni del versante del Pelsa, quelle dei “Mescoi” e che costeggiava, e lo fa tuttora, la Val de Restèl, nota per l’omonima “levìna” che scendeva quando gli inverni erano generosi di neve lasciando una valle spoglia e priva di vegetazione. 

All’indomani dell’alluvione del 1885 che seguì quella rovinosa di tre anni prima, il fotografo trentino Giovanni Battista Unterveger colse con l’obiettivo della sua ingombrante macchina fotografica una veduta del paese che, ad eccezione del capoluogo di Coi e Villagrande e di un angolo di Avoscan, mostrava una desolata distesa di ghiaia. 

A destra e in lontananza, nella foto, il primo nucleo di Avoscan che coincide ora con l’attuale via Isidoro Soppelsa, formato all'epoca solo da una casa, un fienile, un altro piccolo edificio e quella che probabilmente doveva essere una stalla. Per il resto predominava il bianco della ghiaia e qualche prato o campo strappato al letto del Cordevole. 

Nei primi decenni del Novecento sarebbero state fatte altre abitazioni estese, col passare del tempo, a tutta la piana di Avoscan. 

È quasi certamente con la costruzione di altri caseggiati che risale la realizzazione di due 
pozzi collocati a un centinaio di metri di distanza uno dall’altro: uno, di forma rotonda, porta orgogliosamente la data 1915, l’altro, quadrato, non più in funzione ma visibile solo nella struttura esterna, porta impresso 1917. 

Nelle vicinanze era presente anche una fontana, smantellata qualche anno fa. 
È ipotizzabile ritenere che siano gli unici pozzi presenti a Cencenighe, vista la vicinanza al torrente. Non è dato da sapere cosa convinse i proprietari a scavare così in profondità sicuri di trovare l’acqua, resta il fatto che la fatica fu premiata. 

Quanto veniva portato in superficie con l'immancabile secchio, serviva per gli usi domestici. 

Il pozzo del 1915 si presenta molto ben conservato, chiuso per evidenti ragioni di sicurezza e con una struttura in legno che lo ricopre e che gli conferisce un aspetto davvero dignitoso. Profondo circa 7-8 metri, foderato con muri a secco al suo interno, sul fondo immagazzina l’acqua sotterranea, derivata da infiltrazioni del Cordevole. 

Uno degli attuali proprietari racconta che quando piove in abbondanza, come in occasione di “brentàne”, l’acqua contenuta nel pozzo si alza di qualche metro. 

Malgrado non serva più allo scopo per cui era stato costruito, dopo un secolo il manufatto fa ancora la sua bella figura accanto alle abitazioni e agli orti che in questa stagione mostrano il meglio di sé.

                                                                                           L.Manfroi
    

Commenti

Post popolari in questo blog

Nell'agosto 1985 la guerra contro "el pavare"

Vallada Agordina - "El pavàre", i semi di papavero, da sempre caratterizzano i sapori di alcuni piatti della cucina valladese.  La sua mancanza stravolgerebbe completamente il gusto delle pietanze come "le lasagne da fornel, la vigilia di Natale e i "carfogn", durante il Carnevale e le feste particolari. I semi del papavero venivano ottenuti dall'omonima pianta coltivata in zona fino a trent'anni fa con l'unico scopo di ricavare i semi per usarli in cucina.  Una co ltura secolare interrotta ai primi di agosto del 1985 da un blitz della Guardia di Finanza con un ampio dispiegamento di forze contro gli ignari abitanti di Vallada la cui unica colpa era quella di coltivare questa pianta in buonafede. Si sa che "l' ignoranza della legge non scusa", ma si ci chiede ancora oggi se fu proprio necessario agire in modo così eclatante come invece ebbe a verificarsi.  La quiete dei giorni che precedevano quello che si prospettava

Falcade - Storia della segheria Scola

FALCADE - Il legno ha un profumo particolare. È quello che si respira quando si entra in una falegnameria o in una segheria. Un odore che riporta al bosco, alla montagna e quindi alle proprie radici. Al legno in qualche modo si è sempre rimasti legati adesso come in passato malgrado i naturali cambiamenti sociali ed economici del territorio. Da una statistica delle Camera di Commercio di Belluno del 1958 emerge che in Valle del Biois (considerando anche Cencenighe e San Tomaso), di segherie se ne registravano ben quattordici, senza considerare gli altri comuni dell'alta Val Cordevole dove, complessivamente, ad Alleghe, Rocca Pietore, Colle Santa Lucia, Selva di Cadore e Livinallongo, se ne contavano diciotto. Ora, in alto Agordino, da Cencenighe in su, di segherie ne è rimasta attiva solo una, quella di Marco Scola, a Falcade. Una gestione che è arrivata ormai alla quarta generazione. Prima di lui il padre Romano, il nonno Marco, suo omonimo, e il bisnonno Sante Scola che,

“Memorie Storiche di Alleghe e Caprile - Grande Guerra 1915 - 1918” di Lina De Biasio

Alleghe – Durante la Grande Guerra sia i militari che i civili, hanno dato il loro contributo. Per questo l'attenzione va rivolta non soltanto alle pubblicazioni “ufficiali” che trattano il conflitto dal punto di vista militare, ma anche a quelle che lo raccontano dal punto di vista dei civili. In questo ultimo filone si inserisce la ricerca uscita proprio in queste settimane “Memorie Storiche di Alleghe e Caprile - Grande Guerra 1915 - 1918” di Lina De Biasio. Un lavoro di una cinquantina di pagine il cui formato fa risaltare le oltre cinquanta immagini, la maggioranza delle quali inedite, di cui il libro è corredato. Il lettore viene accompagnato in questo viaggio nella memoria che inizia ricordando la figura di Luigi Canepone, giovane studente di medicina umbro, costretto ad interrompere gli studi per soccorrere i soldati feriti in battaglia. L'autrice ne riporta il diario sintetico nel quale, dal giugno all'agosto 1917, vengono ripercorse le tappe del