Mazzarol di Cencenighe, in Brasile con una capra - L’esodo dai paesi della provincia oltre un secolo fa
Mazzarol di Cencenighe, in Brasile con una capra -
L’esodo dai paesi della provincia un secolo fa
L’esodo dai paesi della provincia un secolo fa
di Luisa Manfroi (L’Amico del Popolo, 27.04.1996, n. 18) - riproduzione riservata
L'esodo
migratorio ha sempre costituito una scelta difficile per chi, costretto
dalla miseria o spinto dall'avventura, decideva di lasciare i propri
paesi in cerca di fortuna, soprattutto per le implicazioni che
comportava il fatto di allontanarsi dalla famiglia e dai propri affetti.
A
volte la speranza di trovare al di là dell'oceano migliori condizioni
di vita si trasformava nella disillusione di trovarsi di fronte ad una
realtà ancora più dura e più ostile di quella lasciata in patria.
Ne è riprova la lettera scritta nell'aprile 1895 al fratello da G.Mazzarol di Cencenighe emigrato in Brasile a Conte Deu.
"Caro
fratello,eccomi pronto a darti le novità di qui; sappi che io con la mia
piccola famiglia stiamo bene abbastanza, tanto io, come la moglie
(...).
Il giorno 28
aprile ho ricevuto una lettera da te, nella quale ho udito che è la
quarta lettera che a me hai spedito, e io ti dico che è la seconda che
io ho ricevuto.
Ed è però vero
che io sono stato un poco trascurato nello scrivere, ma ora ti farò
sapere come fu la cosa; in primo luogo io credevo sempre certa la
partenza di A.Fontanive, per colà, che ancor al giorno d'oggi è
indecisa, secondariamente le "torbide quiete" nei partitanti di questa
provincia che si dirama anche nelle più piccole borgate in mezzo ai
boschi, al messo che portava due lettere da San Giovanni a Conte Deu gli
fu tagliato le canne della gola, in questa occasione la posta è rimasta
per tre mesi ferma, e qui noi chiusi senza poter sapere né punto né
virgola.
Qui quello che si compra costa un occhio della testa.
I nostri prodotti coloniali non valgono nulla in cagione di tante turbolenze che come oggi, il commercio è quasi arenato.
Tu pensi che io qui sia un signore, t'inganni caro fratello, più vecchio divengo e più debbo travagliare.
La mia moglie
Giovanna, vi saluta tutti e saluterai tanto la Teresa e gli dirai che
oggi non posso spedirgli la fotografia che ella desidera perché qui un
gruppo costa solo dai venti ai ventiquattro fiorini!
Il Moro da
Pradesora (si riferisce ad un suo concittadino emigrato da una frazione
di Cencenighe) sta bene ha delle armente in stalla e vino in caneva, io
all'opposto bevo acqua e non ho che una capra (...)."
La lettera
(corretta dagli errori di ortografia), venne pubblicata nel luglio 1895
su un quotidiano bellunese con l'intento evidente di indurre i lettori a
non farsi sedurre "dal miraggio di fantastiche descrizioni" e di
convincerli ad assumere informazioni dettagliate prima di avventurarsi
con le proprie famiglie in Brasile.
In effetti le
difficoltà economiche e le tensioni politiche dell' America Latina
avevano fatto di questa terra, nella seconda metà dell' 800, uno sbocco
sconsigliabile per l'emigrazione.
Molti infatti
furono gli speculatori che, per il proprio tornaconto, persuasero
parecchi bellunesi ad emigrare promettendo il facile acquisto di terre
fertili in America.
Nonostante i
sindaci, su indicazione del Prefetto,a vessero dissuaso la popolazione a
recarsi in America meridionale, molti furono coloro che si imbarcarono
scegliendo come mèta le terre al di là dell'Atlantico.
Ma d'altro canto come si legge in una corrispondenza dell’epoca:
"Se non vi
fosse aperta la grande valvola dell'emigrazione si renderebbe difficile
la vita in questi paesi, con la depressione economica che si lamenta nel
regno (...).
Unica
industria esistente è la pastorizia che si concentra nel mirabile fascio
delle latterie cooperative e che congiunta ai redditi dell'emigrazione
rende possibile la vita in questi paesi,scarsi di risorse locali (...)".
Queste
considerazioni che non hanno bisogno di alcun commento riassumono
senz'altro le vere ragioni del fenomeno migratorio nell'Agordino e nel
Bellunese in genere.
Luisa Manfroi
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