Passa ai contenuti principali

Marzo 2017 - Il nocciolo in Agordino

È  di questi giorni la notizia dell'interesse della Ferrero, la multinazionale italiana leader nel settore dolciario, a produrre nocciole nel Bellunese, ingrediente indispensabile per alcuni dei suoi più famosi prodotti, Nutella, ma non solo. Se l'ipotesi diventasse realtà, il nocciolo, scientificamente noto come “Corylus avellana L.”, potrebbe dare un contributo all’economia provinciale. Fa sorridere la descrizione che fa di questa pianta Mauro Corona nel suo libro “Le voci del bosco”: “il nocciolo quando lo vedi sottile, dritto, alto e ben vestito, ti dà l'idea del furbetto che non vuole fare nulla. Al pari di tutti i vili e fannulloni cerca la forza nel branco, perciò cresce assieme agli altri noccioli in numerose combriccole”. Un' “antipatia”, quella di Corona, dettata più dalla poca resa e utilità del suo legno rispetto ad altri. Effettivamente, come conferma qualcuno in Agordino, le piante di nocciolo rappresentavano un ingombro poiché si preferiva lasciare spazio ai prati destinati alla fienagione o ai terreni da coltivare. Così, i “busch”, erano destinati a trovarsi in zone più marginali ma pur sempre raggiungibili anche se  la raccolta dei suoi frutti, le nocciole, si faceva, eccome.  Sebbene non si praticasse la coltivazione vera e propria, si andavano a raccoglierle a fine estate, quando erano mature. Di questo offre un'ampia documentazione GioBatta Rossi nelle sue ricerche riferendo che “co le nosèle le avea el cul corent (o curent)”, quando  erano mature si raccoglievano ai primi di settembre, “le porteane a casa desmalitàde”, si portavano a casa senza l'involucro che le avvolgeva e si mettevano sul ballatoio a seccare.  “Via par l'invern se le magnea co se stea 'nte stua o apéde foch; se ghen dea anca ai tosàt che cantea San Martin, terzàde (mescolate) coi raf”. Del resto il riferimento alle nocciole è presente nella filastrocca cantata dai bambini la vigilia (10 novembre) di San Martino: “San Martin da le nosèle, demene tante, demele bele; demene pien en sachetìn, viva viva San Martin”. E i proverbi ? Non potevano mancare. Come quello di La Valle Agordina, “Se ’l piof el dì de Sant' Ana, la nosèla la cai do da la rama” (se piove il giorno di Sant' Anna, la nocciola si stacca dal ramo), o quello di Gosaldo “Da San Roch le nosèle le va de scròch e par i careghete l’é ora de far fagòt” (per San Rocco le nocciole si staccano dalle brattee e per i seggiolai è ora di far fagotto). Secondo il detto, poi, quando d'estate le nocciole sono in abbondanza, in inverno verrà molta neve. Nocciole a parte, anche il legno trovava un certo impiego seppure non paragonabile a quello di altre piante ad alto fusto, come abeti, larici, faggi e frassini. Le “bachéte de busch” erano, e lo sono tuttora, molto adatte a fungere da sostegno per le piante di fagiolo come pure per costruire e riparare i manici dei “darlìn” (gerle) o per fare “fassìn” da bruciare nel “fornèl”. E le foglie? Servivano come lettiera nelle stalle ma erano pure usate in qualche caso come “cerotto” improvvisato per medicare eventuali ferite quando ci si trovava all'aperto durante i lavori di fienagione. Curioso, infine, l'utilizzo delle infiorescenze, gialle e pendule, non a caso venivano chiamate “piroi”, messe per gioco sulle orecchie come fossero orecchini. Tutto ciò conferma come  il nocciolo non sia affatto estraneo al nostro ambiente anche se, nella maggioranza dei casi, la crescita è stata del tutto spontanea.

                                                                                                                                                                         L.Manfroi

Pubblicazione Riservata - "L'Amico del Popolo" - Settimanale di informazione generale della Provincia di belluno - marzo 2017

Commenti

Post popolari in questo blog

Nell'agosto 1985 la guerra contro "el pavare"

Vallada Agordina - "El pavàre", i semi di papavero, da sempre caratterizzano i sapori di alcuni piatti della cucina valladese.  La sua mancanza stravolgerebbe completamente il gusto delle pietanze come "le lasagne da fornel, la vigilia di Natale e i "carfogn", durante il Carnevale e le feste particolari. I semi del papavero venivano ottenuti dall'omonima pianta coltivata in zona fino a trent'anni fa con l'unico scopo di ricavare i semi per usarli in cucina.  Una co ltura secolare interrotta ai primi di agosto del 1985 da un blitz della Guardia di Finanza con un ampio dispiegamento di forze contro gli ignari abitanti di Vallada la cui unica colpa era quella di coltivare questa pianta in buonafede. Si sa che "l' ignoranza della legge non scusa", ma si ci chiede ancora oggi se fu proprio necessario agire in modo così eclatante come invece ebbe a verificarsi.  La quiete dei giorni che precedevano quello che si prospettava

Falcade - Storia della segheria Scola

FALCADE - Il legno ha un profumo particolare. È quello che si respira quando si entra in una falegnameria o in una segheria. Un odore che riporta al bosco, alla montagna e quindi alle proprie radici. Al legno in qualche modo si è sempre rimasti legati adesso come in passato malgrado i naturali cambiamenti sociali ed economici del territorio. Da una statistica delle Camera di Commercio di Belluno del 1958 emerge che in Valle del Biois (considerando anche Cencenighe e San Tomaso), di segherie se ne registravano ben quattordici, senza considerare gli altri comuni dell'alta Val Cordevole dove, complessivamente, ad Alleghe, Rocca Pietore, Colle Santa Lucia, Selva di Cadore e Livinallongo, se ne contavano diciotto. Ora, in alto Agordino, da Cencenighe in su, di segherie ne è rimasta attiva solo una, quella di Marco Scola, a Falcade. Una gestione che è arrivata ormai alla quarta generazione. Prima di lui il padre Romano, il nonno Marco, suo omonimo, e il bisnonno Sante Scola che,

“Memorie Storiche di Alleghe e Caprile - Grande Guerra 1915 - 1918” di Lina De Biasio

Alleghe – Durante la Grande Guerra sia i militari che i civili, hanno dato il loro contributo. Per questo l'attenzione va rivolta non soltanto alle pubblicazioni “ufficiali” che trattano il conflitto dal punto di vista militare, ma anche a quelle che lo raccontano dal punto di vista dei civili. In questo ultimo filone si inserisce la ricerca uscita proprio in queste settimane “Memorie Storiche di Alleghe e Caprile - Grande Guerra 1915 - 1918” di Lina De Biasio. Un lavoro di una cinquantina di pagine il cui formato fa risaltare le oltre cinquanta immagini, la maggioranza delle quali inedite, di cui il libro è corredato. Il lettore viene accompagnato in questo viaggio nella memoria che inizia ricordando la figura di Luigi Canepone, giovane studente di medicina umbro, costretto ad interrompere gli studi per soccorrere i soldati feriti in battaglia. L'autrice ne riporta il diario sintetico nel quale, dal giugno all'agosto 1917, vengono ripercorse le tappe del