La passione per il teatro. Un racconto di tanti anni fa.
Sfogliando
gli album fotografici può capitare di imbattersi in foto che
ritraggono compagnie teatrali di una volta. Immagini scattate per
perpetuare il ricordo di uno spettacolo ben riuscito o di una
scenografia singolare. L'inverno è forse la stagione che più si
addice alle rappresentazioni. Sarà per il freddo, sarà per la
necessità di dover forzatamente prediligere le attività al coperto
rispetto a quelle all'esterno, fatto sta che per le filodrammatiche
i mesi in cui i lavori agricoli erano fermi coincidevano con i
maggiori impegni sul palcoscenico. In genere si trattava di compagnie
di dilettanti spesso improvvisate tenute insieme da un comune filo
conduttore, quello di divertirsi e far divertire. In mancanza di
altri veicoli di intrattenimento, quali cinema e tv, il teatro
offriva un modo per stare insieme e regalare un momento di
spensieratezza. Filodrammatiche erano presenti in ogni comune e lo
sono tuttora, la “Filodrammatica di Vallada”, la “San Bastiàn”
di Falcade, “Gli attori per caso” di Alleghe-Caprile,
“Genitorando Insieme” di Selva di Cadore e Colle Santa Lucia sono
soltanto degli esempi in Agordino. Come ricordava la giornalista
originaria di Cencenighe Giovanna Orzes Costa nel suo libro “Tempi
di primavera” (edizioni DBS, 1995) oltre alle compagini di adulti
non mancavano quelle formate da giovanissimi che avevano imparato a
salire su palcoscenici improvvisati in occasione di recite
scolastiche. Un felice esempio è dato attualmente dal “Gruppo
Colibrì” di Falcade, formato da ragazzi, che ormai da qualche
anno mette in scena commedie rappresentate pure al di fuori del
comune e il cui ricavato viene devoluto in beneficenza. Orzes Costa
ricorda come a Cencenighe, negli anni Venti, la locale filodrammatica
fosse particolarmente attiva. “La Nemica” e “La Maestrina” di
Dario Niccodemi o “Le due orfanelle”, dramma teatrale francese
della seconda metà dell'Ottocento, erano solo alcuni dei titoli di
rappresentazioni che accanto a scenette, poesie e cori, contribuirono
a creare una certa simpatia nei confronti di questa forma di
espressione artistica manifestata in forma di commedia, farsa o di
dramma teatrale
La
passione per il teatro spinse una compagnia di dopolavoro di
Cencenighe a realizzare una sede, nota col nome popolare di
“Babilonia”, ingenuamente costruita in prossimità della sponda
destra del Cordevole, in località Cioipe. L'edificio, ospitante
anche la biblioteca, fu spazzato via alla fine di ottobre del 1926 da
una “brentana” autunnale che ne aveva eroso le fondamenta.
Testimoni raccontano che una notevole quantità di
oggetti, sedie, teloni e mobili, fu trascinata via dalla forza
dell'acqua che aveva perfino raggiunto le vicine cataste di tronchi
della segheria di Federico De Biasio "Chico". Ciò
non bastò a fermare il gruppo di giovanissimi attori dilettanti che
riprese a recitare nella vecchia sala da ballo di Adamo
De Biasio, nella “Trattoria al Sole”, in via Roma. Oltre a
impersonare una parte, ognuno si accollava l'impegno di mettere in
piedi le scenografie, confezionare costumi, curare la musica e il
lavoro dietro le quinte. Fu così che, ricorda la Orzes Costa, fu
possibile dar vita alla non facile commedia di Carlo Goldoni, “I
Rusteghi”. Dopo alcune repliche in casa, l'esibizione venne
richiesta a Caviola. In pieno inverno, con qualche slitta al seguito
(“lode”, o “ridòle” in Val del Biois) la compagnia
cencenighese fece i bagagli per la trasferta incamminandosi a piedi
lungo la vecchia strada di Tavèrnole, i cui prati erano ancora
coperti di neve, passando per Mulan e quindi, dopo una tappa a Canale
trovarono ristoro dal nonno dell'autrice,
Giovanni Luciani "Vato". Ripartirono poi alla volta di
Caviola dove nel pomeriggio avrebbero dovuto mettere in scena la
commedia. Una volta sul posto venne fatta loro una buona accoglienza
e i giovani attori si diedero subito da fare nei preparativi. La
musica di un terzetto intrattenne il pubblico che si era nel
frattempo radunato. Con l'entrata sul palco degli attori iniziò la
rappresentazione che convinse gli spettatori tanto che la trasferta
fu archiviata con successo. Era ormai buio quando la compagnia,
rifatti i bagagli, si rimise di nuovo in marcia per il ritorno.
Questa volta, però, la strada era tutta in discesa e il tracciato
innevato permise al gruppo di scendere con la slitta fino al ponte
di Canale e quindi, da Celat, arrivare agevolmente fino a casa. A
questa prova ne seguirono altre come "Il Piccolo Lord",
tanto che la passione per il teatro li spinse a partecipare ad un
concorso nazionale che nel 1933 valse loro l'attribuzione di un
premio. La stessa Orzes venne richiesta dalla filodrammatica di
Belluno ma il padre, il fabbro Giovanni Orzes, gli negò il permesso.
Il passare del tempo, gli impegni lavorativi di ognuno e la guerra,
portarono i componenti ad allontanarsi dal paese e la filodrammatica
subì un ricambio generazionale fino a sciogliersi definitivamente.
Rimane il fatto che la passione per il teatro e le motivazioni che
sono state alla base delle vecchie filodrammatiche, anche a distanza
di anni, sono le stesse che animano le attuali compagnie teatrali
dell'Agordino e le tengono in vita.
Luisa Manfroi
"L'Amico del Popolo", gennaio 2015, giornale di informazione generale della provincia di Belluno - Riproduzione riservata
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