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La passione per il teatro. Un racconto di tanti anni fa (gennaio 2015)



La passione per il teatro. Un racconto di tanti anni fa.

Sfogliando gli album fotografici può capitare di imbattersi in foto che ritraggono compagnie teatrali di una volta. Immagini scattate per perpetuare il ricordo di uno spettacolo ben riuscito o di una scenografia singolare. L'inverno è forse la stagione che più si addice alle rappresentazioni. Sarà per il freddo, sarà per la necessità di dover forzatamente prediligere le attività al coperto rispetto a quelle all'esterno, fatto sta che per le filodrammatiche i mesi in cui i lavori agricoli erano fermi coincidevano con i maggiori impegni sul palcoscenico. In genere si trattava di compagnie di dilettanti spesso improvvisate tenute insieme da un comune filo conduttore, quello di divertirsi e far divertire. In mancanza di altri veicoli di intrattenimento, quali cinema e tv, il teatro offriva un modo per stare insieme e regalare un momento di spensieratezza. Filodrammatiche erano presenti in ogni comune e lo sono tuttora, la “Filodrammatica di Vallada”, la “San Bastiàn” di Falcade, “Gli attori per caso” di Alleghe-Caprile, “Genitorando Insieme” di Selva di Cadore e Colle Santa Lucia sono soltanto degli esempi in Agordino. Come ricordava la giornalista originaria di Cencenighe Giovanna Orzes Costa nel suo libro “Tempi di primavera” (edizioni DBS, 1995) oltre alle compagini di adulti non mancavano quelle formate da giovanissimi che avevano imparato a salire su palcoscenici improvvisati in occasione di recite scolastiche. Un felice esempio è dato attualmente dal “Gruppo Colibrì” di Falcade, formato da ragazzi, che ormai da qualche anno mette in scena commedie rappresentate pure al di fuori del comune e il cui ricavato viene devoluto in beneficenza. Orzes Costa ricorda come a Cencenighe, negli anni Venti, la locale filodrammatica fosse particolarmente attiva. “La Nemica” e “La Maestrina” di Dario Niccodemi o “Le due orfanelle”, dramma teatrale francese della seconda metà dell'Ottocento, erano solo alcuni dei titoli di rappresentazioni che accanto a scenette, poesie e cori, contribuirono a creare una certa simpatia nei confronti di questa forma di espressione artistica manifestata in forma di commedia, farsa o di dramma teatrale
La passione per il teatro spinse una compagnia di dopolavoro di Cencenighe a realizzare una sede, nota col nome popolare di “Babilonia”, ingenuamente costruita in prossimità della sponda destra del Cordevole, in località Cioipe. L'edificio, ospitante anche la biblioteca, fu spazzato via alla fine di ottobre del 1926 da una “brentana” autunnale che ne aveva eroso le fondamenta. Testimoni raccontano che una notevole quantità di oggetti, sedie, teloni e mobili, fu trascinata via dalla forza dell'acqua che aveva perfino raggiunto le vicine cataste di tronchi della segheria di Federico De Biasio "Chico". Ciò non bastò a fermare il gruppo di giovanissimi attori dilettanti che riprese a recitare nella vecchia sala da ballo di Adamo De Biasio, nella “Trattoria al Sole”, in via Roma. Oltre a impersonare una parte, ognuno si accollava l'impegno di mettere in piedi le scenografie, confezionare costumi, curare la musica e il lavoro dietro le quinte. Fu così che, ricorda la Orzes Costa, fu possibile dar vita alla non facile commedia di Carlo Goldoni, “I Rusteghi”. Dopo alcune repliche in casa, l'esibizione venne richiesta a Caviola. In pieno inverno, con qualche slitta al seguito (“lode”, o “ridòle” in Val del Biois) la compagnia cencenighese fece i bagagli per la trasferta incamminandosi a piedi lungo la vecchia strada di Tavèrnole, i cui prati erano ancora coperti di neve, passando per Mulan e quindi, dopo una tappa a Canale trovarono ristoro dal nonno dell'autrice, Giovanni Luciani "Vato". Ripartirono poi alla volta di Caviola dove nel pomeriggio avrebbero dovuto mettere in scena la commedia. Una volta sul posto venne fatta loro una buona accoglienza e i giovani attori si diedero subito da fare nei preparativi. La musica di un terzetto intrattenne il pubblico che si era nel frattempo radunato. Con l'entrata sul palco degli attori iniziò la rappresentazione che convinse gli spettatori tanto che la trasferta fu archiviata con successo. Era ormai buio quando la compagnia, rifatti i bagagli, si rimise di nuovo in marcia per il ritorno. Questa volta, però, la strada era tutta in discesa e il tracciato innevato permise al gruppo di scendere con la slitta fino al ponte di Canale e quindi, da Celat, arrivare agevolmente fino a casa. A questa prova ne seguirono altre come "Il Piccolo Lord", tanto che la passione per il teatro li spinse a partecipare ad un concorso nazionale che nel 1933 valse loro l'attribuzione di un premio. La stessa Orzes venne richiesta dalla filodrammatica di Belluno ma il padre, il fabbro Giovanni Orzes, gli negò il permesso. Il passare del tempo, gli impegni lavorativi di ognuno e la guerra, portarono i componenti ad allontanarsi dal paese e la filodrammatica subì un ricambio generazionale fino a sciogliersi definitivamente. Rimane il fatto che la passione per il teatro e le motivazioni che sono state alla base delle vecchie filodrammatiche, anche a distanza di anni, sono le stesse che animano le attuali compagnie teatrali dell'Agordino e le tengono in vita.
                                                                                                         Luisa Manfroi


"L'Amico del Popolo", gennaio 2015, giornale di informazione generale della provincia di Belluno - Riproduzione riservata



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